L’odierno sistema-salute è connotato  da una tensione duale tra il mondo dell’assistenza territoriale, che trova la sua massima espressione nella figura del Medico “di famiglia”, e l’assistenza ospedaliera.

Tale contrapposizione ha resistito nel tempo ai numerosi correttivi applicati dalla legislazione dello stato; provvedimenti  anche eccellenti, quale ad esempio è la Legge n. 833 del 1978, non hanno difatti saputo avvicinare la formidabile distanza tra l’appropriatezza clinica ed  i più o meno espliciti meccanismi incentivanti esistenti.

Ancora oggi l’attività del Medico di Medicina Generale è premiata attraverso la prodigalità nell’organizzare le prestazioni a favore  del “proprio” assistito: il meccanismo fiduciario e la quota capitaria inchiodano il medico di famiglia ad uno stile di accondiscendenza, più di quanto possa  dissuadere l’occhio vigile della ASL.

Del medico ospedaliero invece si contano i numeri: il numero di posti letto o il numero di interventi effettuati.

Ad oggi, il sistema, saturo di normativa, pare difettare nella capacità di chiamare gli attori all’esercizio della responsabilità: nessuno è difatti premiato per quanto raggiunge, ma solo per quello che fa. Una metà del sistema è chiamato a convogliare prestazioni di cui non deve rispondere, l’altra metà le prestazioni le produce, ma senza reali possibilità di esercitarvi una concreta discrezionalità.

Manca la saggezza del terreno di mezzo. Quella stessa saggezza alla base di una cultura clinica nuova, differente, che privilegi l’integrazione tra ospedale e territorio e che fornisca ai professionisti gli strumenti per esercitare con discrezionalità e responsabilità la propria attività. Una cultura che l’Agenzia vuole contribuire a sviluppare e consolidare nel Servizio Sanitario Regionale.

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