Novembre è mese della prevenzione maschile
Il mese di novembre si colora di azzurro e Regione Liguria, insieme con Alisa e LILT, che ha dedicato a questo tema la settimana dal 23 al 30 di questo mese, promuovono la campagna di comunicazione per sensibilizzare la popolazione maschile ad adottare buone abitudini e a tenere sotto controllo la propria salute, sottoponendosi a periodiche visite di controllo.
La campagna prevede podcast, diretta social, trasmissioni dedicate; inoltre, è previsto un evento aperto al pubblico che si terrà venerdì 18 novembre alle 17 nella Sala del Camino di Palazzo Ducale a Genova. - Leggi la comunicazione con tutte le informazioni
Le neoplasie "esclusivamente" maschili sono: il tumore alla prostata, che rappresenta la terza causa di morte per gli uomini in tutto il mondo ma tendenzialmente la prima per incidenza, essendo aumentata l’aspettativa di vita e, seppure più rari, il tumore al testicolo e il carcinoma del pene.
I dati epidemiologici registrano che ogni anno circa il 55% dei tumori maligni vengono diagnosticati agli uomini, rispetto al 45% diagnosticato alle donne.
Il tumore della prostata
Cos'è la prostata?
La prostata è una ghiandola a forma di castagna situata sotto la vescica dell’uomo, davanti al retto, e circonda la porzione iniziale dell’uretra (condotto che collega la vescica con l’esterno). La prostata partecipa al meccanismo dell’eiaculazione, secernendo la parte maggiore del liquido seminale, mezzo di trasporto degli spermatozoi. Le ghiandole prostatiche producono tra l’altro una sostanza specifica, chiamata Antigene Prostatico Specifico (PSA), che viene escreto anche nel sangue dove può essere dosato.
Quali sono le dimensioni della prostata e cos’è l’iperplasia prostatica benigna?
Le dimensioni della prostata tendono ad aumentare con il passare degli anni, variando da quelle di una castagna in età giovanile a quelle di un’albicocca intorno a 40-50 anni. Questo aumento di volume, che è mediato dall’ormone maschile Testosterone, si chiama Iperplasia Benigna della Prostata (IPB); non è un tumore, non rappresenta un maggior rischio di ammalarsi di cancro
della prostata e non si trasforma in cancro. L’IPB, tuttavia, può produrre dei sintomi che sono comuni a quelli del carcinoma prostatico in fase iniziale e che sono legati all’ostacolo meccanico esercitato dalla prostata stessa al deflusso dell’urina dalla vescica (minzione):
- difficoltà ad iniziare ad urinare;
- necessità urgente ad urinare con difficoltà a trattenere le urine;
- necessità di urinare frequentemente, soprattutto di notte, con conseguente disturbo del sonno;
- ridotta potenza del getto di urina e necessità di esercitare una forte pressione per urinare.
Aumentando ulteriormente le dimensioni della prostata questi sintomi possono aggravarsi, giungendo a:
- improvvisa impossibilità a urinare (ritenzione acuta di urina) con necessità di ricorrere all’inserimento di un catetere vescicale;
- ristagno di urina con possibile sviluppo di infezioni ricorrenti delle vie urinarie.
Come si cura l’ipertrofia prostatica benigna (IPB)?
Per questa patologia esistono fondamentalmente tre approcci terapeutici.
Nelle forme iniziali si consiglia di:
- modificare il proprio stile di vita, ad esempio limitando forti ingestioni di liquidi la sera;
- svuotare il più completamente possibile la vescica a ogni minzione;
- non trattenere a lungo l’urina. Alcuni farmaci quali antistaminici, antidepressivi, tranquillanti e certi anti-ipertensivi, possono peggiorare i sintomi dell’IPB.
Nelle forme più avanzate, è possibile ricorrere a farmaci specifici o alla chirurgia.
Il medico di Medicina Generale e lo specialista Urologo possono consigliare la migliore strategia terapeutica.
Cos’è il tumore della prostata?
È la neoplasia più diffusa nella popolazione maschile. Le particolari caratteristiche del tumore, insieme alla possibilità di diagnosi precoce e alla disponibilità di diverse opzioni terapeutiche lo rendono una delle forme di cancro con le più altre probabilità di guarigione. Oggi, in media, su 10 persone che ricevono una diagnosi, 9 di queste vivono almeno altri 10 anni.
Raramente è riscontrato prima dei 40 anni. La sua incidenza aumenta con il progredire dell’età, colpendo prevalentemente i maschi dopo il 50° anno con un picco di incidenza intorno ai 70 anni. La prognosi di questo tumore dipende da alcuni fattori e, in particolare, dall’estensione della neoplasia al momento della diagnosi e dall’età del paziente.
Il tumore della prostata è il tumore più diffuso nella popolazione maschile e rappresenta oltre il 20% di tutti i tumori diagnosticati a partire dai 50 anni di età. È divenuto, nell’ultimo decennio, il tumore rilevato più frequentemente più che per la presenza di fattori di rischio, per la maggiore probabilità di diagnosticare tale malattia, che è presente in forma latente nel 15-30% dei soggetti oltre i 50 anni e in circa il 70% degli ottantenni.
È possibile la diagnosi precoce?
Nelle fasi iniziali il tumore della prostata è spesso asintomatico; ciò significa che il paziente non avverte alcun sintomo, rimanendo ignaro della condizione. Negli ultimi anni, grazie alla crescente presa di coscienza dei pericoli della malattia, la maggior parte dei tumori prostatici viene diagnosticata proprio in queste fasi iniziali.
Una visita urologica accompagnata dal controllo del PSA, mediante analisi del sangue, permette di identificare i soggetti a rischio nei quali effettuare ulteriori accertamenti.
Se il tumore viene ignorato, l’aumento delle sue dimensioni è associato a problemi connessi con la minzione, in quanto l’organo circonda l’uretra prostatica. I cambiamenti all’interno della ghiandola, quindi, influenzano direttamente la funzione urinaria.
Sintomi
I sintomi del tumore alla prostata possono includere:
- difficoltà a urinare (esitazione);
- stimolo frequente a urinare, specialmente di notte (nicturia);
- difficoltà a mantenere un flusso costante di urina (il flusso è debole, intermittente o persiste la sensazione di non riuscire a svuotare la vescica in modo completo);
- dolore o bruciore durante la minzione;
- sangue nelle urine o nello sperma;
- disfunzione erettile (impotenza);
- eiaculazione dolorosa;
- disagio nella zona pelvica;
- stanchezza, perdita di appetito e malessere generale;
- dolore generalizzato a schiena, fianchi o bacino.
I sintomi urinari descritti si manifestano in modo simile ad altri problemi prostatici di tipo benigno, come l’iperplasia prostatica (IPB).
Per questo motivo, se si verifica una o più di queste manifestazioni, è consigliabile sottoporsi a specifici accertamenti medici senza farsi prendere dal panico; potrebbe infatti trattarsi di un “semplice” ingrossamento benigno della prostata. Ancora, la comparsa di questi sintomi in forma acuta potrebbe essere spia di un’infiammazione della prostata, generalmente batterica: la prostatite.
Quali sono i fattori di rischio per il carcinoma prostatico?
Poiché il carcinoma prostatico è molto raro prima dei 40-50 anni, ma la sua incidenza aumenta rapidamente in età più avanzata, l’età è da considerarsi il principale fattore di rischio. Altri fattori di rischio riconosciuti sono:
- Familiarità: il rischio di sviluppare un carcinoma della prostata è 2-3 volte maggiore per chi ha un familiare di primo grado affetto dalla stessa malattia. Tale rischio aumenta fino a 10 volte con l’aumentare del numero dei familiari colpiti.
- Razza: questo tumore è essenzialmente una malattia dei Paesi occidentali; l’incidenza e la mortalità più elevata si osserva nei maschi afro-americani degli Stati Uniti, la più bassa in Giappone,
Cina ed altri Paesi asiatici.
L’infiammazione cronica con consequenziale stress ossidativo e danno cellulare, sembra sempre più incidere in mutazioni facilitanti la carcinogenesi della ghiandola interessata.
Altri fattori di rischio, per i quali le evidenze sono meno consolidate, comprendono:
- Fattori dietetici: una dieta ricca di grassi e l’obesità (Indice di Massa Corporea - IMC - superiore a 29) sembrano comportare un incremento dell’incidenza. L’azione sfavorevole dei grassi è da collegarsi a un aumento della produzione del testosterone e a una diminuzione dell’assorbimento della vitamina A. Anche deficit nella dieta di vitamina D e selenio sono stati associati a una maggiore incidenza di carcinoma della prostata.
Si può prevenire l’insorgenza del carcinoma prostatico?
Come raccomandato per numerose altre patologie, anche nel caso delle affezioni della prostata, una costante attività fisica, la riduzione del peso corporeo e un’alimentazione equilibrata, povera di grassi e ricca di frutta e verdura (soprattutto ortaggi gialli, pomodori e peperoni dotati di proprietà antiossidanti, sostanze ricche di vitamina A, D, E e selenio) si dimostrano utili nel ridurre il rischio di malattia.
Come si manifesta il carcinoma prostatico?
Questo tumore è generalmente caratterizzato da una crescita molto lenta; nella fase iniziale è frequentemente asintomatico e può quindi restare non diagnosticato per anni.
Progredendo la malattia, generalmente, compaiono i segni dovuti all’ingrossamento della prostata che, peraltro, non sono differenziabili da quelli sostenuti dall’ipertrofia prostatica benigna: pollachiuria (emissione frequente di piccole quantità di urina); nicturia (necessità, anche molto frequente, di eliminazione dell’urina durante la notte); disuria (emissione di urine accompagnata da dolore); diminuzione della potenza del getto urinario. Altri sintomi, raramente, possono essere legati alla progressione locale del tumore: ematospermia (sangue nello sperma), dolore perineale
e alterazioni della funzione erettile.
In meno del 10% di pazienti il carcinoma della prostata si manifesta con sintomi legati alla sua disseminazione metastatica quali dolori ossei anche gravi.
Un tumore alla prostata maligno può metastatizzare ai linfonodi della pelvi e, progressivamente, diffondersi ad altre parti del corpo.
Il carcinoma prostatico tende a metastatizzare soprattutto alle ossa della colonna vertebrale, del bacino, delle costole e del femore. Il dolore osseo, quindi, può essere un sintomo del tumore alla prostata avanzato.
Se la metastasi comprime il midollo spinale, può causare debolezza o intorpidimento agli arti inferiori, incontinenza urinaria e fecale.
Come si diagnostica il carcinoma prostatico?
Una diagnosi accurata si basa essenzialmente sulle seguenti indagini:
- Esplorazione digito-rettale (DRE): rappresenta il primo esame a cui deve sottoporsi il paziente con disturbi riferibili alla prostata. Poiché il carcinoma della prostata origina nella maggior parte dei casi (70%) nella porzione periferica dell’organo, tale esame è di aiuto ma non consente l’individuazione di tumori molto piccoli e allo stadio iniziale. Questa manovra è di semplice esecuzione, dura solo una decina di secondi ed è indolore.
- Dosaggio del PSA (Antigene Prostatico Specifico): questa sostanza, prodotta dalla ghiandola prostatica, può essere dosata con un semplice prelievo di sangue. La sua quantità nel sangue tende ad aumentare con l’età, per cui è normale che nell’anziano sia superiore rispetto a quella del giovane. La quantità di PSA nel sangue può aumentare sensibilmente qualora le strutture ghiandolari della prostata vengano danneggiate (infezioni delle vie urinarie, iperplasia prostatica benigna o in seguito a manovre strumentali).
Come si cura il carcinoma prostatico?
Definito lo stadio della malattia si pone la scelta del trattamento, sulla base di:
- età del paziente
- estensione della malattia
- eventuali malattie concomitanti.
Le opzioni terapeutiche sono di tipo:
- chirurgico
- radiante
- farmacologico
- combinazione delle precedenti terapie.
Molto recentemente sono stati sperimentati e introdotti nella pratica clinica nuovi farmaci di vario tipo: chemioterapici, agenti ormonali, farmaci a bersaglio molecolare (da utilizzare in caso di specifiche mutazioni).
Il tumore del pene
Patologie del pene non tumorali
Alcune patologie sia sistemiche sia localizzate possono interessare il pene, tra cui:
- Malattie a trasmissione sessuale. Le patologie del pene maggiormente frequenti sono le malattie a trasmissione sessuale da parte di funghi, batteri e parassiti tra cui la candidosi, la gonorrea, infezioni da herpes virus, oppure la sifilide. Queste patologie colpiscono spesso il glande che si presenta gonfio, infiammato e dolente con secrezioni (in questo caso si chiama balanite) oppure in alcuni casi possono presentarsi delle lesioni chiamate condilomi (o verruche) spesso determinate da infezioni da papilloma virus. Queste infezioni sono frequenti in caso di rapporti non protetti con alto rischio di trasmissione al partner.
- Malattie dermatologiche. Altre patologie benigne sono quelle dermatologiche tra cui dermatiti su base allergica o infiammatoria (determinate da farmaci, prodotti topici oppure da indumenti) oppure la psoriasi, patologia verosimilmente autoimmune, che interessa non solo la cute del pene ma anche altri distretti corporei.
- Fimosi. La fimosi è caratterizzata da un restringimento dell’orifizio prepuziale che può essere sia congenita sia acquisita in seguito a infezioni croniche. Negli adolescenti e negli adulti la fimosi può causare dolore durante l’erezione ma, altrimenti, non è dolorosa.
Coloro che sono colpiti, sono a maggior rischio di incorrere in una infiammazione del glande, nota come balanite e altre complicazioni.
Durante i primi anni di vita del bambino non dovrebbero essere tentati sforzi per retrarre il prepuzio. Per coloro la cui condizione non migliora può essere indicato aspettare ancora del tempo o utilizzare una crema con steroide per tentare di allentare la pelle stretta. Se ciò non risultasse efficace, si potrebbero raccomandare dei trattamenti chirurgici come la circoncisione.
Che cosa è il tumore del pene?
Il tumore del pene più comune è il carcinoma spinocellulare (95% dei casi) che trae origine dal rivestimento epidermico del glande e dalla parte interna del prepuzio. Seguono altri tumori come il melanoma, il sarcoma e altri ancora, decisamente molto rari. Questa neoplasia nasce dalla crescita incontrollata di alcune cellule dell’epitelio che acquisiscono la capacità di infiltrare e di invadere le strutture e gli organi contigui e, attraverso il sistema linfatico e sanguigno, raggiungere organi distanti (metastasi).
Sintomi
Un’alterazione dell’aspetto della pelle che potrebbe cambiare colore o diventare più sottile rappresenta un iniziale segno di sospetta neoplasia del pene. In alcuni casi si possono formare dei noduli, più o meno dolorosi, oppure ulcere o placche superficiali biancastre o rossastre associate o meno a delle secrezioni irritanti. Negli stadi avanzati possono essere presenti delle tumefazioni a livello inguinale, segno di probabile interessamento linfonodale.
Nessuno di questi sintomi da solo è sufficiente per una diagnosi certa di tumore del pene, dal momento che gli stessi sintomi potrebbero essere causati anche da patologie benigne; per questo motivo è importante rivolgersi sempre al medico in caso di dubbio.
Tuttavia noduli o ulcere che non migliorano dopo una terapia antibiotica o antimicotica e tendono ad un aumentare di dimensioni, devono far sospettare la presenza di una neoplasia del pene.
Fattori di rischio
Tra i fattori di rischio predisponenti per l’insorgenza del tumore del pene è possibile menzionare:
- Fumo di sigaretta: l’esposizione al tabacco è associata ad un aumentato rischio di insorgenza di tumore del pene in maniera dose dipendente.
- Fimosi: è stato dimostrato che gli uomini non circoncisi nell’infanzia presentano un aumentato rischio di sviluppo di neoplasia del pene. Si attesta che questo rischio sia mediato dalla presenza di fimosi.
- Infezione da papilloma virus (HPV): esistono diversi ceppi virali che possono portare allo sviluppo di neoformazioni benigne (verruche o condilomi) e maligne. La trasmissione dei papilloma virus cheinfettano le mucose genitali avviene quasi esclusivamente per via sessuale, sebbene sia possibile, almeno teoricamente, anche la trasmissione attraverso l’uso promiscuo di biancheria intima infetta; inoltre, anche se rara, è possibile la trasmissione materno-fetale al momento del parto. La trasmissione sessuale dell’HPV avviene tipicamente durante rapporti completi di natura genitale, genitale e ano-genitale, ma è possibile anche attraverso rapporti oro-genitali, oro-anali, manuali-genitali o per semplice contatto dei genitali esterni. Per questo motivo, l’infezione da HPV è associata all’insorgenza non soltanto di neoplasie del pene ma anche a livello del collo dell’utero, cavo orale, ano, esofago e laringe.
- Virus dell’immunodeficienza umana (HIV): l’incidenza di tumore del pene è circa 4-8 volte superiore nei soggetti infetti rispetto agli uomini sani, la ragione di questa associazione rimane incerta. Si suppone tuttavia che in questi soggetti ci sia una maggior predisposizione all’acquisizione del papilloma virus, noto fattore di rischio.
Come si diagnostica il tumore del pene?
La diagnosi di tumore del pene deve essere sospettata negli uomini che presentano una massa o un’ulcera del pene. In questo caso, è indispensabile consultare uno specialista che, dopo un’adeguata visita medica che valuti lo stato locale dell’organo e palpi i linfonodi locali (quelli inguinali), esegua una biopsia della lesione che confermi o meno la presenza di cellule tumorali.
Una volta stabilita la diagnosi di tumore del pene, è fondamentale stabilire l’estensione della malattia nell’organismo eseguendo degli esami radiologici tra cui la risonanza magnetica del pene, l’ecografia dei cavi inguinali con eventuale ago-biopsia dei linfonodi, la tomografia computerizzata (TC) e la tomografia a emissione di positroni (PET), queste ultime per valutare l’interessamento di organi a distanza.
Si può prevenire l’insorgenza del tumore del pene?
Al momento non esistono strategie precise ed efficaci per prevenire il tumore del pene tuttavia particolare attenzione dovrebbe essere fatta in caso di insorgenza di lesioni in pazienti adulti con fimosi, HIV positivi, o con storia di condilomi penieni. Sicuramente una buona igiene degli organi genitali è fondamentale per la prevenzione di questo tumore, ma da sola non è sufficiente. È importante anche evitare i fattori di rischio già noti: attenzione quindi al fumo di sigaretta e ai comportamenti sessuali che aumentano il rischio di contrarre infezioni da HPV o HIV.
La circoncisione precoce riduce l’incidenza del tumore del pene di 3-5 volte, mentre quella effettuata in età adulta non ha effetti protettivi.
La conoscenza della relazione causale fra infezione da HPV e cancro ha permesso di attuare strategie di prevenzione primaria e secondaria. Il vaccino per l’HPV è approvato in Italia nelle ragazze dal 12° anno di età dal 2007 e dal 2014 l’offerta è stata estesa ai ragazzi e a sottogruppi a rischio (pazienti
HIV positivi), al momento i dati in merito ai tassi di copertura vaccinale si riferiscono soltanto alla popolazione femminile.
Come si cura il tumore del pene?
Il tumore del pene se diagnosticato nelle fasi precoci è solitamente guaribile, la scelta del trattamento più adeguato dipende da diversi fattori tra cui: l’estensione e la posizione del tumore, le condizioni del paziente e la preferenza del paziente.
La chirurgia è il trattamento di scelta quando il tumore è localizzato a livello del pene, ma esistono diverse tecniche chirurgiche in base alle caratteristiche della neoplasia.
La chirurgia mirata alla conservazione dell’organo viene utilizzata nelle forme a basso rischio di recidiva ed esistono diverse tecniche tra cui:
- la chirurgia laser: che utilizza una sorgente di energia laser distruggendo le cellule tumorali più superficiali (questa tecnica è utilizzata nelle forme tumorali estremamente precoci).
- la circoncisione: tecnica chirurgica che consente di asportare le lesioni tumorali confinanti al prepuzio.
- la chirurgia di Mohs: che prevede l’asportazione di uno strato molto sottile di tessuto, che viene analizzato; se ci sono cellule cancerose si procede con l’asportazione di uno strato alla volta fino a che se ne incontra uno completamente sano.
- l’asportazione semplice del tumore e di una piccola parte di tessuto adiacente con il bisturi.
In alcuni casi, se il tumore è molto esteso in profondità, è necessario eseguire un’asportazione parziale o totale del pene. La chirurgia è inoltre fondamentale nei casi in cui sia necessario rimuovere i linfonodi inguinali qualora fossero interessati dalla malattia.
La radioterapia con fasci esterni o tramite la brachiterapia, che prevede l’utilizzo di piccole particelle radioattive posizionate all’interno del tumore, può essere utilizzata nei casi in cui la chirurgia sia controindicata o in combinazione alla chirurgia per ridurre il rischio di recidiva.
La chemioterapia invece può essere utilizzata sia prima della chirurgia, nei casi in cui dall’inizio l’asportazione della neoplasia o dei linfonodi non sia tecnicamente fattibile al fine di ridurre il volume tumorale, oppure nei casi in cui la malattia sia disseminata in altri distretti corporei.
Per i pazienti in cui la malattia progredisce dopo la chemioterapia iniziale, la prognosi è infausta pertanto quando è possibile è necessario offrire a questi pazienti la possibilità di partecipare a studi clinici.
Il tumore del testicolo
Incidenza, mortalità e prevalenza per tumore del testicolo in Italia
Sono tumori che dal punto di vista epidemiologico rappresentano circa l’1-3% delle neoplasie del sesso maschile. La loro importanza in campo oncologico è data da due motivi contrapposti: sono la forma di tumore più frequente nei soggetti al di sotto dei 45 anni; hanno una curabilità di oltre il 90%, almeno nei paesi occidentali.
Che cosa è il tumore del testicolo?
Il 95% dei tumori del testicolo deriva dalle cellule germinali e viene suddiviso in due grandi gruppi: seminomi (circa il 50%) e non seminomi.
Tra i non-seminomi si annoverano poi:
- carcinoma embrionario
- tumore del seno endodermico
- corioncarcinoma
- teratoma.
Le forme miste, molto frequenti, sono considerate e trattate come non seminomi. È inoltre possibile riscontrare forme di cosiddetto carcinoma in situ (definito TIN o CIS), le quali possono poi trasformarsi in carcinomi con il passare del tempo.
Il restante 5% dei tumori del testicolo è costituito da tumori derivanti dallo stroma gonadico (tumori delle cellule di Leydig, di Sertoli o della granulosa) o di altro tipo (particolarmente rari).
Fattori di rischio
Attualmente l’unico fattore di rischio certo per il tumore del testicolo risulta essere il criptorchidismo, ovvero la presenza di un testicolo ritenuto nel cavo addominale e non disceso nella borsa scrotale. Questo aumenterebbe il rischio di sviluppare un tumore del testicolo di circa 2,5-11 volte.
Altri fattori sospetti, anche se non ancora verificati con certezza, sono:
- la presenza di elevati valori ormonali durante la gravidanza della madre;
- una storia familiare di tumori del testicolo;
- l’esposizione lavorativa a radiazioni ionizzanti;
- la presenza di una rara condizione genetica, la sindrome di Klinefelter.
Bisogna inoltre considerare la frequente associazione dei tumori del testicolo ad anomalie più o meno gravi nella produzione dello sperma, fino ad arrivare all’infertilità.
Sintomi
La principale e più frequente manifestazione del tumore del testicolo risulta essere la presenza di una massa dura (dolente o indolente), a livello dello scroto. Da considerarsi è il possibile ritardo diagnostico, mediamente calcolato di 2-3 mesi dovuto o a ritrosia del paziente nel farsi visitare dal medico o a una diagnosi iniziale di patologia infiammatoria (epididimite, orchiepididimite).
Qualora la malattia dovesse presentarsi in fase avanzata potranno essere presenti lombalgie, dovute spesso alla compressione di varie strutture da parte di linfonodi aumentati di volume, disturbi respiratori, causati da possibili metastasi polmonari o linfonodi aumentati di volume, comprimenti le strutture respiratorie. Il riscontro di elevati livelli di alcuni marcatori tumorali nel sangue, può aiutare nella conferma diagnostica.
Come si diagnostica il tumore del testicolo?
Il tumore del testicolo andrebbe sempre sospettato come diagnosi differenziale nel riscontro di una massa dura a livello scrotale:
- le indagini di primo livello sono rappresentate da un’ecografia scrotale associata, in caso di conferma del dubbio clinico, a prelievo di sangue per la determinazione di alcuni marcatori tumorali (AFP, cioè alfa fetoproteina; beta HCG, cioè beta Human Chorionic Gonadotropin, la stessa del test di gravidanza; LDH, cioè Lattato deidrogenasi). Il dosaggio di questi marcatori risulta fondamentale sia per la successiva decisione terapeutica sia per il controllo dell’andamento della efficacia della terapia stessa
- il secondo step è invariabilmente rappresentato dalla orchiectomia.
Questo è un intervento effettuato sempre per via inguinale, così da analizzare anche il funicolo ed evitare possibili «contaminazioni» della borsa scrotale (orchifunilectomia per via inguinale).
L’intervento ha un duplice scopo:
- diagnostico, cioè confermare o meno la diagnosi di tumore (l’esame dei campioni di tessuto si chiama esame istologico e il risultato dell’esame istologico prende il nome di diagnosi istopatologica);
- classificativo, volto cioè a stabilire il “tipo” di tumore valutandone gli eventuali fattori di rischio e scegliere così la terapia più adeguata.
All’intervento devono sempre seguire:
- il dosaggio periodico dei marcatori tumorali, se elevati prima dell’intervento;
- l’effettuazione di esami radiologici per definire l’estensione della malattia (stadiazione).
Come si cura il tumore del testicolo?
La scelta terapeutica migliore è basata su un insieme di fattori sia legati alla malattia (estensione, o stadio, e classe prognostica, nel caso di malattia avanzata) che al paziente (condizioni generali, preferenze).
È preferibile perciò che l’equipe medica che ha preso in carico il paziente giunga a una concorde decisione, attraverso quella che viene definita come valutazione clinica «multidisciplinare», definita tale per la presenza di specialisti di più discipline. Per il tumore del testicolo, il gruppo multidisciplinare può includere oncologi medici, radioterapisti, chirurghi urologi e anatomo patologi. Il tumore del testicolo ha una vasta gamma di terapie, le quali possono essere utilizzate singolarmente o in combinazione tra loro. Lo standard terapeutico del tumore del testicolo è rappresentato dalla chirurgia (orchiectomia, linfadenectomia retroperitoneale, chirurgia della malattia residua in altre sedi), dalla radioterapia e dalla chemioterapia.
Limitatamente ad alcune forme di tumore a basso rischio, viene inoltre presa in considerazione la cosiddetta «attenta osservazione».
Come detto, sono diversi i fattori che influenzano la scelta terapeutica:
- tipo istologico: seminoma (interessante prevalentemente il tessuto linfonodale e caratterizzato da elevata sensibilità alla radioterapia oltre che alla chemioterapia), oppure non seminoma (più aggressivo ma con elevata sensibilità alla chemioterapia);
- l’estensione del tumore;
- la classe prognostica.
Nel caso di recidiva di malattia vanno considerate le modalità di ricomparsa della stessa.
Chirurgia
Orchifunilectomia per via inguinale: ha, come già detto, una valenza sia diagnostica sia terapeutica (rimozione della neoplasia primitiva). La via d’accesso inguinale è obbligatoria. Approcci conservativi possono essere presi in considerazione in casi selezionati:
- effettuazione di biopsie intra operatorie (a cielo aperto, nel dubbio di una patologia benigna)
- interventi di chirurgia conservativa (ad esempio nei rari casi di tumore bilaterale).
Considerato l’elevato rischio che comportano, questi approcci vanno affrontati solo in centri di riferimento per la gestione di casi di tumore del testicolo.
Linfadenectomia retroperitoneale (RPLND): effettuata solo nei casi di non seminoma, consiste nell’asportazione di alcuni linfonodi addominali. Può essere effettuata in via precauzionale per:
- stabilire se linfonodi apparentemente normali (stadio I) o solo leggermente ingranditi (stadio IIa) siano o meno interessati dalla malattia, e allora si effettuerà un intervento limitato alle sole aree a maggiore rischio di interessamento metastatico (lo scopo è di ridurre le complicanze dell’intervento, come l’incidenza di eiaculazione retrograda: cosiddetta «linfadenectomia nerve sparing»)
- rimuovere eventuali residui di malattia dopo l’effettuazione di una chemioterapia più radicale, avente come obiettivo l’asportazione e l’analisi istologica di tutta la malattia residua dopo la chemioterapia.
L’effettuazione della linfadenectomia per malattia residua è molto più complessa e gravata da rischi, anche vascolari, e deve essere quindi effettuata solo da chirurghi esperti nell’effettuazione di questo tipo di intervento.
- Chirurgia della malattia residua, altre sedi: in questo caso si rende necessaria un’accurata valutazione della sua eventuale asportazione.
- Chirurgia di salvataggio: la quale viene effettuata, per mancanza di alternative, in pazienti non più trattabili con chemioterapia.
Pur essendo gravata da rischi molto alti, può arrivare a controllare la malattia nel 25 per cento dei casi. Deve essere indicata in ambito multidisciplinare ed effettuata da chirurghi di comprovata esperienza in questo campo.
Attenta osservazione (sorveglianza)
Consiste nell’effettuazione di soli controlli periodici (visita, esami strumentali e marcatori) con eventuale trattamento della recidiva.
Può essere applicata solo a pazienti con malattia localizzata e viene in genere suggerita a pazienti con basso rischio di recidiva. Il non seminoma in stadio I senza fattori di rischio (soprattutto infiltrazione vasculolinfatica) all’esame istologico, rappresenta lo standard di indicazione per questa opzione terapeutica; potendo comunque tale indicazione essere estesa anche a casi di seminoma o a casi di non-seminoma con fattori di rischio che rifiutino trattamenti più adeguati.
La radioterapia
La radioterapia consiste nell’utilizzo di radiazioni di raggi X o di altre fonti radianti per uccidere le cellule tumorali.
Viene somministrata dall’esterno del corpo attraverso una macchina, l’acceleratore lineare. Nei seminomi in stadio iniziale (I, IIa, IIb), viene impiegata a basso dosaggio (da 20 a 36 gray) allo scopo di diminuire il tasso di recidive linfonodali in sede addominale (dal 20% al 3-4%).
Le modalità di irradiazione variano in base allo stadio della malattia.
Si può infatti impiegare la radioterapia negli stadi più avanzati della malattia nell’ambito di un trattamento integrato (per esempio nella gestione di casi con metastasi cerebrali) o, più raramente, come trattamento palliativo, volto cioè a dare sollievo al dolore e ai sintomi della malattia, ma non di guarirla definitivamente.
La chemioterapia
È una terapia basata su farmaci in grado di uccidere le cellule tumorali ovunque esse si trovino: è quindi un trattamento sistemico, a differenza della chirurgia e della radioterapia.
I farmaci possono essere utilizzati singolarmente o in combinazione (opzione più spesso presa in considerazione) ed essere somministrati per bocca o iniettati per via intramuscolare o endovenosa. La prognosi dei tumori del testicolo è stata rivoluzionata dall’avvento della chemioterapia, la quale ha permesso di raggiugere percentuali di guarigione assolutamente unici; la chemioterapia risulta essere quindi la terapia di scelta nella maggior parte dei casi di malattia non localizzata (a eccezione del seminoma con interessamento linfonodale iniziale).
Lo schema standard di chemioterapia, definito PEB (cisPlatino, Etoposide, Bleomicina), viene somministrato a intervalli di 21 giorni per tre o quattro cicli, a seconda delle indicazioni. Nel caso in cui la malattia non dovesse rispondere al trattamento con PEB, possono essere impiegati schemi di terapia alternativi (PEI, VeIP, VIP, TIP, eccetera), contenenti farmaci almeno in parte diversi (ifosfamide, vinblastina, taxolo, eccetera), o schemi di terapia ad alte dosi. Anche nel caso di un trattamento chemioterapico, le scelte vanno prese in un multidisciplinare e la somministrazione della chemioterapia dev’essere effettuata in un centro oncologico sotto il controllo di un oncologo esperto in tale patologia. Questa restrizione vale ancora di più nei casi di malattia a rischio intermedio o elevato e nei casi di risposta non ottimale o di recidiva.
Tutti questi casi andrebbero inseriti in studi clinici che abbiano come obiettivo il miglioramento ulteriore delle risposte ottenibili.